Ruolo dell'ossigeno-ozonoterapia mediante grande autoemotrasfusione
nel trattamento delle epatiti croniche postepatite virale

Autori: Amato Giuseppe Serv. Anestesia Rianimazione e Ter. Antalgica
Murari Corrado I° Divisione Medica
Sacchetta Antonio II° Divisione Medica
Spinazzè Ruggero I° Divisione Medica

Ospedale De Gironcoli - Via Manin 110 - 31015 Conegliano TV - Tel. 0438. 654218

INTRODUZIONE E PREMESSE
In Italia ogni anno muoiono per cirrosi epatica 28-32 persone su 100 000 abitanti e tale malattia rappresenta dopo le neoplasie la causa più frequente di morte nella età compresa tra i 25 e i 40 anni. Molte forme sono legate all'abuso alcolico, ma anche i virus dell'epatite B e soprattutto C negli ultimi anni giocano un ruolo importante.
La cirrosi e l'epatocarcinoma sono infatti gravi complicanze delle infezioni da tali virus, ma per fortuna solo una parte dei pazienti colpiti da tali infezioni non guarisce definitivamente. Per la precisione tra i malati affetti da epatite B solo il 6-10% va incontro a cronicizzazione, mentre nel caso dell'epatite C ben il 50-75% va incontro a complicanze.
Viene quindi spontanea la domanda: perché solo una parte dei pazienti che contrae una epatite virale va incontro a cronicizzazione, mentre la maggior parte dei pazienti elimina il virus senza conseguenze permanenti?
Tale evoluzione è giustificata dalla storia naturale della infezione che è caratterizzata dall'equilibrio dinamico tra replicazione virale e risposta immunitaria dell'ospite: vi sono cioè tutta una serie di fattori, per cui rimandiamo alla numerosa bibliografia esistente, che spostano tale equilibrio in favore del virus.
Difficile è dire quando una epatite diviene cronica : come già detto infatti la maggior parte dei pazienti guarisce dopo tre mesi dall'episodio acuto, mentre altri continuano ad avere alterazione degli indici bioumorali e immunitari.
In generale si definisce cronica un'epatite che dura da almeno 6 mesi con un aumento delle transaminasi anche se non esiste alcuna correlazione tra il grado di elevazione delle transaminasi e la gravità delle lesioni istologiche.
La diagnosi di epatite cronica è facile in un paziente nel quale dopo un episodio di epatite virale acuta, a distanza di mesi, non si abbia la normalizzazione dei parametri bioumorali e di infettività. Questa però è la evenienza più semplice ma anche quella più rara nella pratica clinica: infatti la maggior parte degli episodi virali acuti decorre in modo asintomatico e spesso rimane sconosciuta per cui nella maggioranza dei casi la scoperta di una epatite cronica avviene per caso in occasione di esami eseguiti per altri motivi. Purtroppo per quanto attiene la terapia delle epatiti croniche il cui obiettivo principale è quello di spegnere l'attività della malattia e di arrestarne la progressione, siamo ancora oggi piuttosto disarmati..
L'approccio terapeutico si può sviluppare lungo due direttrici principali : l'attacco eziologico eliminando la causa e l'intervento sui meccanismi patogenetici (autoimmunitari, ecc.). Siamo dunque alla ricerca di terapie capaci di ottenere la eliminazione del virus, di controllare l'evoluzione sfavorevole della malattia ma anche di alleviare i sintomi aspecifici quali astenia, malessere generale, anoressia, che condizionano in maniera importante la qualità di vita dei pazienti. Molto importanti sono le norme dietetiche ed igienico comportamentali ma su di queste non intendiamo dilungarci, mentre merita alcune considerazioni la terapia farmacologica.
I farmaci oggi più comunemente impiegati nel trattamento dell'epatite cronica sono riconducibili sostanzialmente a due categorie: farmaci antivirali, quali la Ribavirina per l'epatite C e la Lamivudina per le B e gli interferoni.
Questi ultimi, utilizzati da molti anni, sono sostanze proteiche che hanno azioni antivirale, antiproliferativa e immunomodulatrice grazie alle quali si può ottenere un miglioramento della malattia , ma purtroppo la risposta ottenuta (persistenza dell'eliminazione del virus a distanza di sei mesi dalla sospensione della terapia) è del 40% per l'epatite cronica B da virus selvaggio e del 25% per l'epatite cronica da virus C. Ma l'elemento che ne limita spesso l'utilizzo è rappresentato dai numerosi effetti collaterali. Questi possono essere di tipo simil-influenzale, ma anche neurologico, mielodepressivo, cardiocircolatorio per cui una terapia con gli interferoni richiede una vigile prudenza da parte del medico ed una buona compliance da parte del malato. Da non dimenticare poi l'elevatissimo costo di un ciclo terapeutico.

La terapia ideale quindi dovrebbe teoricamente essere: Ora, date le limitate prospettive terapeutiche coi farmaci su citati e conoscendo le azioni antivirali e sul sistema immunitario dell'ossigeno ozono, abbiamo voluto provare tale sostanza somministrata mediante grande autoemotrasfusione in un gruppo di pazienti affetti da epatite cronica.

METODICA E CASISTICA
Oggetto dello studio sono stati 7 pazienti ,di età compresa tra i 45 e i 65 anni, di entrambi i sessi, in grado di poter dare il proprio consenso informato alla sperimentazione.
Tutti i pazienti erano affetti da epatite cronica post-epatite C, non avevano risposto all'Interferon o non avevano tollerato tale terapia per la comparsa di effetti collaterali; in tutti i casi erano presenti elevati livelli di transaminasi da almeno 6 mesi.
Lo studio è stato condotto secondo un protocollo proposto dal professor Bocci che prevedeva:
tutti pazienti venivano sottoposti a controlli ematochimici e ad esame clinico per valutarne la qualità di vita a vari tempi e precisamente:

T0: prima di iniziare il trattamento,
T1: a metà trattamento,
T2: alla fine del trattamento,
T3 T4 T5 T6 T7 T8:rispettivamente dopo 30, 60,90,120,150,180 giorni dopo la fine del trattamento.

Come si può vedere i tests usati avevano lo scopo di:
Per confermare la malattia epatica , indipendentemente dalle cause, dobbiamo valutare degli indici di "lesione" (transaminasi, gammaGT) e degli indici di " funzione" (bilirubina, proteine).
Indici di lesione
Transaminasi
La SGOT e la SGPT sono enzimi presenti in alta concentrazione nel fegato (la SGOT è presente anche in altri tessuti e quindi meno specifica) che vengono rilasciate in presenza di danni della membrana cellulare. Un aumento di tali enzimi è indice di necrosi cellulare e una valutazione seriata nel tempo degli stessi aumenta la sensibilità del test anche se, come già detto, non esiste una relazione diretta tra l'entità dei valori e il danno epatico. Certo che valori molto alti indicano un danno epatico diffuso e le loro variazioni nel tempo ci possono più fornire utili informazioni sulla evoluzione della malattia.
Altri enzimi
La fosfatasi alcalina e la gammaGT sono anche essi enzimi che si modificano in corso di malattie del fegato ma la loro utilità per la diagnosi di epatite cronica è molto limitata per la bassa specificità.
Indici di funzione
Proteine
Nella epatite cronica si ha spesso una riduzione della sintesi di albumina anche se tale dato si modifica in altre situazioni; assai frequente anche è l'aumento delle gammaglobuline che indica una risposta ad una aumentata stimolazione antigenica . Anche molti fattori della coagulazione sono sintetizzati nel fegato per cui si può avere una ridotta sintesi di tali fattori che viene evidenziata da un aumento del tempo di protrombina. Infine abbiamo un enzima, la pseudocolinesterasi, la cui sintesi è ben correlata con quella della albumina:in presenza di valori bassi dobbiamo pensare ad un grave danno epatico.
Confermata dunque l'esistenza di una epatite cronica (o meglio di un danno del fegato) rimane il problema di quantificare il danno stesso e il grado di attività della malattia. Esistono molti tests strumentali ma noi abbiamo posto la nostra attenzione in particolare sui tests sierologici.

La grande autoemotrasfusione veniva praticata con la tecnica tradizionale che prevede: Ovviamente per il collegamento paziente-flacone e flacone-paziente mediante deflussore per ozonoterapia si sfruttava il tappo perforabile avendo però l'accortezza di bagnare tutte le vie con anticoagulante prima del passaggio del sangue.

RISULTATI E CONCLUSIONI
Lo studio può essere considerato concluso per i pazienti del gruppo A mentr per quelli del gruppo B i rilevamenti sono ancora in corso e quindi i risultati per questi ultimi sono ancora provvisori in quanto il follow-up minimo di 6 mesi non è ancora concluso al momento della stesura di questo testo. Gruppo A.come già presentato nel recente congresso mondiale di ossigeno-ozonoterapia tenutosi a Verona pochi mesi fa purtroppo non abbiamo avuto nei 12 pazienti del gruppo alcun risultato positivo se ci riferiamo agli esami ematochimici.Viceversa abbiamo verificato la totale innocuità del gas anche somministrato a dosaggi alti ed ottenuto in tutti i casi un netto miglioramento della cenestesi e della qualità di vita in genere. Ma quanti di noi praticano l'ossigeno-ozonoterapia sanno bene che tale obiettivo si raggiunge anche con dosaggi inferiori e con numero di sedute nettamente minore. Per quanto attiene invece gli altri 7 pazienti ci riserviamo di riferire al momento del congresso i risultati ottenuti.

BIBLIOGRAFIA
1) Amato G., Borrelli E., Bocci V:"Prolonged ozonated autohemotherapy (O3 AHT) in chronic hepatitis C patients is ineffective at an O3 concentration og 40 m g/cc blood". Comunicazione presentata al Congresso Mondiale di Ossigeno-ozonoterapia. Verona 1999
2) Caccamo F.,Avondo D.: "Trattamento e valutazione dell'ozono-terapia nelle epatite croniche attive da HBV e HCV". In corso di pubblicazione
3) Sammartino A., Bimonte D., Luongo C., Vicario C.:"Esperienze di ozono in tema di malattie epatiche". Relazione presentata alle "Giornate meridionale di Ossigeno-ozonoterapia". Sorrento,9-10 Marzo 1991.
4) Vaughin J.M., Chen YS.,NovotnY J.F., Stout D.: "Effects of ozono treatment on the infectivity of hepatitis a virus". Can.J.Microbiol.,vol. 36,1990
5) International Group: "Acute and chronic hepatitis rivisited."Lancet, 1977,914